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Nov 27

Favolaschia calocera, un fungo raro

Nel panorama delle specie alloctone che si stanno diffondendo nel territorio europeo, spicca per l’appariscenza dei suoi piccoli carpofori Favolaschia calocera R. Heim. La specie, dopo una fugace apparizione in Madagascar negli anni ’40 del secolo scorso, è stata in seguito osservata in diversi paesi soprattutto australi e tropicali, e più recentemente è segnalata come ampiamente diffusa in Nuova Zelanda, probabile luogo da cui il commercio di materie prime ha contribuito alla diffusione anche alle nostre latitudini di questa specie evidentemente dotata di ottime capacità di adattamento.

Favolaschia calocera. Foto: R. Paniz

Le segnalazioni sul territorio italiano cominciano nel 2002 in Liguria; seguono ulteriori ritrovamenti in varie regioni, tra cui diversi in Lombardia. Nel nostro caso specifico, la specie ha trovato la strada per la XLI mostra micologica Antares grazie ai soci Maurizio e Umberto, che si sono presentati nella mattina di sabato con la solita dovizia di specie fungine, tra cui un grosso ramo ospitante numerosissimi e coloratissimi esemplari di questo fungo dall’aspetto curioso. Una rapida occhiata fornisce subito la sensazione di averlo già visto, e basta poco per ricordare anche dove: un numero della Rivista di Micologia dell’AMB, consultato tra l’altro abbastanza di recente. Nel pomeriggio, all’apertura della mostra, al posto del cartellino con il nome che ovviamente non avevamo ancora stampato, accompagnava gli esemplari esposti proprio la copia della rivista in questione aperta alle pagine dell’articolo che descriveva la specie citando tra l’altro due raccolte del 2013 avvenute nelle province di Como e Varese, non lontano dal luogo di provenienza dei nostri reperti.

L’aspetto dei carpofori presenta peculiarità morfocromatiche tali da agevolare notevolmente il riconoscimento della specie senza dubbi di sorta. L’habitat è lignicolo; in base alle descrizioni di varie raccolte sparse per il mondo emerge che la specie non ha particolari esigenze, prestandosi a fruttificare sul legno di svariate essenze arboree, sempre però su rami o tronchi caduti e in fase di degrado, mai su legno vivo, e in molti casi anche su legno lavorato come imballaggi o contenitori vari. Il carpoforo si compone di un cappello largo da 10 a 20 mm, molto sottile, e da un gambo sempre laterale, più o meno sviluppato in lunghezza o addirittura del tutto assente, portando così il cappello sessile al diretto contatto con il substrato di crescita. L’imenoforo è costituito da tubuli adnati molto radi e larghi, in relazione alle dimensioni del cappello, dalla forma vagamente poligonale che ricorda le cellette di un alveare. Tutta la superficie del carpoforo è vistosamente colorata di giallo arancio molto intenso, che scurisce ulteriormente con la disidratazione. La cuticola è liscia, e visto l’esiguo spessore della carne riprende in rilievo la forma dei sottostanti tubuli. Il gambo è più o meno sottile, abbastanza regolare e cilindrico, talvolta leggermente incurvato, appena ingrossato alla base; la sua superficie è finemente fioccosa. Dal punto di vista sistematico, i criteri morfologici avevano inizialmente suggerito la collocazione delle Favolaschia tra le Polyporaceae, interpretando l’imenoforo come di tipo poroide, anche se non mancavano teorie discordanti. Più recenti studi basati su criteri filogenetici assegnano il genere alle Mycenaceae.

Favolaschia calocera. Foto: R. Paniz

Favolaschia calocera, per quanto riguarda il territorio nazionale, è attualmente da considerare specie rara; vista la sua propensione a diffondersi con facilità è comunque ipotizzabile una futura maggiore presenza. Quando si ha a che fare con specie alloctone, siano animali, vegetali, funghi o microorganismi, sorgono lecite preoccupazioni sul possibile impatto sull’ambiente colonizzato: sono innumerevoli gli esempi di come l’introduzione di specie aliene, accidentale o voluta, si sia rivelata dannosa per la biodiversità con effetti spesso irreversibili. In questo caso, l’aspetto negativo legato alla potenziale crescente diffusione di questa specie si limita alla possibile sottrazione dello spazio alle specie autoctone aventi simili esigenze nutrizionali, mentre la natura saprotrofa della specie dovrebbe scongiurare la possibilità di implicazioni di tipo fitopatologico sulla flora arborea nostrana.

Una curiosità: notato il gran numero di primordi (piccoli esemplari appena spuntati), e tenuto conto di un nuovo evento espositivo in programma la domenica successiva, abbiamo fatto conservare il ramo per tutta la settimana in un luogo fresco e umido. L’esperimento ha avuto esito positivo, al punto che buona parte dei primordi hanno potuto svilupparsi in nuovi esemplari freschi dall’aspetto appena più esile di quelli cresciuti nel loro ambiente naturale.