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Ott 31

Dante Alighieri e l’Astronomia

Domenico di Michelino. Duomo di Firenze.

Il 14 settembre 1321 muore a Ravenna, in esilio, Durante di Alighiero degli Alighieri, meglio conosciuto con il solo appellativo di Dante. Nel 700° anniversario della morte ci sembra giusto ricordare il Sommo Poeta ed il suo rapporto con l’Astronomia, che pervade molte delle sue opere dal Convivio alla Vita nova e, soprattutto, la Comedìa.
Dante vi inserisce tutte le conoscenze della sua epoca, spaziando dalla filosofia alla religione, dalla letteratura alla scienza, dalla teologia all’astronomia. Non è un caso, infatti, che tutte e tre le Cantiche della Divina Commedia si concludano con la parola “stelle” ed è facilmente possibile datare il periodo in cui il viaggio nei tre regni viene compiuto, la settimana santa del 1300; interpretando le rigorose indicazioni astronomiche che il poeta ci dà si può quindi ricostruire la configurazione astronomica del cielo nelle varie tappe del viaggio dantesco nei tre Regni.
Troviamo infatti quasi 100 citazioni astronomiche sparse nella Divina Commedia, tutte di altissimo contenuto poetico ed incomparabile bellezza, che danno veridicità e credibilità al suo racconto.

La visione dell’Inferno. Gustave Dorè, 1860. Fonte: Wikimedia Commons

Così nell’Inferno, luogo buio e sotterraneo da dove non è possibile vedere il Cielo, i dannati sono privati d’ogni fonte di luce, e Dante lo ricorda in diversi passi: non isperate mai veder lo cielo urla Caronte nel terzo canto; E vegno in parte ove non è che luca, dice Dante uscendo dal Limbo e lo ribadisce ancora all’ingresso del girone dei lussuriosi: io venni in loco d’ogni luce muto, nel quinto canto. La citazione più evidente, che mostra quanto Dante conosca bene l’astronomia, si trova nel canto di Ulisse: Tutte le stelle già de l’altro polo/vedea la notte, e ‘l nostro tanto basso,/che non surgea fuor del marin suolo. Quel “Tutte le stelle” in posizione dominante all’inizio della terzina non è lì a caso, ha un effetto veramente drammatico.

Dante beve al fiume Eunoé. Gustave Dorè, 1860. Fonte: Wikimedia Commons

 

Usciti finalmente dalla “privazione del cielo” dell’Inferno, (E quindi uscimmo a riveder le stelle.), Dante si trova al cospetto dell’imponente montagna del Purgatorio, che invece è il luogo caratterizzato dal “guardare il cielo”, destinazione finale delle anime purganti e descrive subito l’azzurro del cielo: Dolce color d’oriental zaffiro. Nella cantica del Purgatorio Dante utilizza l’astronomia per scandire il trascorrere del tempo e dimostra ancora una volta la sua profonda conoscenza dell’astronomia citando la precessione degli equinozi; al cerchio che più tardi in cielo è torto. E finalmente, superato il Giardino dell’Eden, è puro e disposto a salire a le stelle.

Il Paradiso dantesco è formato dai cieli tolemaici che, ricordiamolo, sono perfetti, cristallini ed immutabili e termina nell’Empireo, rispecchiando le conoscenze astronomiche: abbiamo i sette cieli planetari, l’ottavo cielo delle Stelle Fisse ed infine il nono cielo del Primo Mobile che dà al tutto il movimento giornaliero.

Qui i riferimenti astronomici si identificano con i concetti teologici sin dal primo canto ed infine dopo la fugace visione di Dio e la contemplazione della Luce, Dante giunge al termine del suo viaggio e la Comedìa si conclude ancora una volta con la parola stelle: l’amor che move il sole e l’altre stelle.

Davvero possiamo annoverare Dante tra gli astrofili esperti, e con lui dire: E quindi uscimmo a riveder le stelle.

La costellazione del Cane Maggiore con la stella Sirio. Foto: F. Rama