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Gen 10

Agrifoglio e pungitopo: non facciamo confusione!

Ilex aquifolium L. (agrifoglio)

Piccolo albero alto sino a 8-10 m, più spesso arbusto sempreverde.

Tronco diritto, corteccia liscia e glabra, prima verde, a maturità grigio-nerastra che si desquama arrotolandosi su sé stessa; lenticelle sparse.

Gemme svernanti a forma conica appuntita, lunghe 2-3 mm, glabre, verdi; gemme fiorali tondeggianti. È presente una gemma terminale.

Le foglie hanno uno sviluppato polimorfismo, sono persistenti e durano mediamente 2-3 anni; sono coriacee, alterne, semplici, brevemente picciolate, con piccole stipole caduche. Le foglie dei rami inferiori hanno lamina ovale o ellittica, ondulata, con margine biancastro, dentato spinoso (6-8 spine per lato), mentre quelle dei rami superiori e dei polloni hanno lamina intera e acuminata all’apice. La spinescenza, rappresenta una difesa naturale della specie contro il morso degli animali; pertanto essa è presente soprattutto nei rami più bassi, mentre le foglie alte sono in genere a margini lisci. Tutte le foglie delle entità selvatiche sono di colore verde scuro: la pagina superiore lucida, quella inferiore opaca e più chiara, ambedue glabre.

I fiori sono riuniti in gruppetti all’ascella delle foglie dell’anno precedente e hanno breve peduncolo. È una pianta dioica, ciò significa che esistono agrifogli che portano fiori femminili (aventi solo ovario, stilo e stigma) e agrifogli che portano fiori maschili (aventi solamente stami e antere). Sulle piante femminili, dai fiori fecondati si sviluppano i frutti, drupe globose, peduncolate, ombelicate, di colore rosso vivo, contenenti 3-5 nòccioli (pireni) ossei.

I fiori dell’agrifoglio vengono impollinati prevalentemente dalle api. La propagazione dei semi ha luogo soprattutto grazie a merli e tordi. Le drupe di colore rosse vivo, in netto contrasto con il fogliame verde, costituiscono un chiaro adattamento alla dispersione per opera degli uccelli.

Antesi: aprile÷maggio; i frutti compaiono nel primo autunno e persistono anche durante l’inverno.

Ilex acuifolium L., agrifoglio

Ilex acuifolium L., agrifoglio

In Italia è presente in tutte le regioni ma ormai raro allo stato spontaneo. L’agrifoglio è molto longevo e in condizioni favorevoli, può raggiungere età di 300 anni e tronchi di 50 cm di diametro.

Habitat: vegeta in faggete e in querco-carpineti, solitamente nello strato arbustivo, mentre all’aperto assume in genere portamento arboreo. Predilige media luce, suoli ben drenati, ricchi di nutrienti, spesso decalcificati e acidificati, umidi, a un’altitudine compresa tra 0 e 1400 m.

Etimologia: il nome del genere ripete la denominazione di specie del leccio, “Quercus ilex L.”, a indicare una somiglianza della forma delle foglie in entrambe le piante; dal latino il nome specifico “aquifolium”=”acus-acutus”=”ago acuto”+”folia”=”foglia” a indicare le foglie appuntite e spinescenti.

Anche il nome dialettale della pianta, “spinaràc”, si riferisce alla spinosità e accomuna l’agrifoglio al pungitopo (Ruscus aculeatus L.); denominazione dialettale che deriva dall’uso contadino di appendere i rametti spinosi di entrambe le specie alla base delle “spalére”, pali su cui erano esposte a essiccare le pannocchie di granoturco e nelle cantine sui “baldüc”, baldacchini dove venivano appesi salumi, questo al fine di impedire l’accesso ai topi (in bergamasco: “rat o sorèch”).

L’agrifoglio ha una parte tossica rappresentata dalle bacche e dalle foglie. L’ingestione di alcune drupe, provoca uno stato infiammatorio grave dell’apparato gastro-intestinale e renale, determinando nel primo caso vomito, nel secondo aumento della diuresi. Le proprietà terapeutiche di questa pianta sono state una riscoperta recente, infatti per secoli, l’uso per così dire “magico” ne ha eclissato ogni altra proprietà. In realtà si tratta di un eccellente febbrifugo ad azione lenta, ma costante; molto probabilmente, prima della scoperta del chinino era impiegato nella cura delle febbri malariche.

Ilex acuifolium L., agrifoglio

Ilex acuifolium L., agrifoglio

Ilex aquifolium è pianta tipica del Natale, ampiamente coltivata come ornamentale: lo splendido fogliame verde intenso, crea un piacevole contrasto con i frutti rossi.

Gli antichi romani, durante i Saturnali, recavano ramoscelli di agrifoglio come talismani portatori di prosperità e sopravvivenza, e ne piantavano vicino alle case per tenere lontani i malefici; usavano regalarlo agli sposi novelli in segno di augurio per la vita coniugale. Quando invasero la Britannia, si stupirono: era considerato dal popolo che abitava quelle lontane terre “pianta sacra”. I Druidi, ritenevano che l’agrifoglio proteggesse dai disagi della cattiva stagione e che un ramo di questa pianta, scagliato contro un animale feroce in procinto di attaccare, avesse il potere di ammansirlo.

Gli Etruschi la consideravano una pianta potente e pericolosa, protagonista del bosco di confine nella zona sacra che si estendeva tra le mura e l’abitato, ma mai coltivata all’interno dei giardini domestici, forse perché i suoi frutti, velenosi per l’uomo, costituiscono cibo invernale per gli uccelli.

Nel Medioevo, i contadini dei popoli germanici attribuivano alla pianta il potere di scacciare i malefici e ne mettevano ramoscelli sulle porte delle stalle.

Quando Cristoforo Colombo scoprì l’America, trovò che gli indigeni, conoscevano l’agrifoglio: lo piantavano nei pressi delle loro abitazioni come amuleto per tenere lontani gli “spiriti” e se ne fregiavano durante le battaglie: era un segno distintivo di coraggio.

Inoltre le foglie dell’agrifoglio compaiono frequentemente nell’araldica civica.

Ruscus aculeatus L. (pungitopo)

Piccolo arbusto suffruticoso sempreverde, dal robusto rizoma ramificato e strisciante; fusti eretti, striati, parzialmente lignificati, semplici alla base ma ramificati verso l’alto.

I rami sono inseriti sulla parte mediana e basale dei fusti aerei, con disposizione sparsa, più volte ramificati; i rametti dell’ultimo ordine sono trasformati in fillocladi rigidi, di colore verde scuro, di forma da lanceolata a ovato-acuminata con una spina apicale pungente. Altezza 20-90 cm. Le foglie vere sono caduche ed estremamente ridotte a squame biancastre, inserite sul fusto aereo; la loro funzione è svolta da particolari rami appiattiti che prendono il nome di cladodi.

I turioni compaiono da fine marzo ad aprile, con rapido accrescimento in primavera; la consistenza definitiva del fogliame si ha a inizio estate.

I fiori, poco appariscenti, difficilmente visibili, unisessuali su individui diversi (specie dioica), subsessili, isolati, senza peduncolo, si formano sulla pagina inferiore dei cladodi. Il perigonio è composto da 6 tepali disposti in 2 verticilli di colore bruno verdastro, lunghi 2-2,5 mm; gli stami uniti in un tubo carnoso di circa 2 mm di lunghezza di colore violetto.

I frutti sono bacche globose di colore rosso vivo, contenenti 1-2 semi durissimi di colore bianco-giallastro. La maturazione delle bacche avviene nell’inverno successivo alla fioritura e permangono sulla pianta per 2-3 mesi dopo la maturazione.

Antesi: novembre÷aprile.

Habitat: predilige le zone calde e soleggiate e i terreni calcarei, lo si trova facilmente nei luoghi aridi e sassosi, nei boschi, soprattutto nelle leccete e nei querceti, sensibile al freddo intenso, per cui solo nelle zone meridionali la si può trovare oltre i 1.200 m, nel resto d’Italia difficilmente vegeta sopra i 600 m.

Entità protetta a livello nazionale.

Ruscus aculeatus L., pungitopo

Ruscus aculeatus L., pungitopo

Etimologia: il nome con cui gli antichi Romani chiamavano la pianta deriva dal latino e a sua volta dal greco “rugchos”= becco, rostro, e indica i cladodi dall’apice aguzzo, proprio come un becco d’uccello; l’epiteto specifico “aculeatus”= dotato di aculei, sta a indicare i mucroni pungenti di cui sono dotati i cladodi.

Il pungitopo è un potente tonico venoso vegetale e per questo rientra nella composizione di molti farmaci antiemorroidali e antivaricosi. Indicato nella cura di flebiti, pesantezza delle gambe, edemi, facilita l’eliminazione dell’acido urico e aumenta la sudorazione. Questa pianta è stata molto utilizzata dalla medicina popolare in passato: già Plinio il vecchio e Galeno ne descrivevano le proprietà diuretiche e la capacità di favorire il flusso mestruale, ma pochi di questi usi sopravvivono oggi.

Nella campagne, il pungitopo era usato per proteggere le pannocchie di granoturco esposte a essiccare: si legavano mazzetti della pianta a testa in giù, alla base dei pali di sostegno; nelle cantine era posto intorno al formaggio e vicino ai salami e le spine aguzze tenevano lontani i roditori; metodo in uso ancor oggi, almeno nella bergamasca dove è comunemente chiamato spinasorèch o spisorèch. È pratica agricola disporre corone di rami secchi di R. aculeatus ai piedi degli alberi da frutta evitando così che su di essi salgano i topi. La pianta secca legata a una pertica, era inoltre impiegata per pulire e spazzare i camini.

Testo e foto: Roberto Olgiati