Il vischio (Viscum album L.) è un piccolo arbusto cespuglioso sempreverde epifita, emiparassita di numerosi alberi, soprattutto latifoglie come ad esempio pioppi, salici, tigli, aceri, meli, betulle, ma anche Pino silvestre; si sviluppa sulla pianta ospite mediante radici modificate dette austori (atti a captare la linfa della pianta cui è ospite).
Il frutto è una piccola bacca di forma sferica-ovoidale di colore bianco-madreperlaceo con mesocarpo a polpa gelatinosa in cui sono immersi 2-3 semi piatti e di colore verde; il frutto matura il 2° anno e cade all’inizio del terzo. La diffusione avviene mediante l’ingestione da parte degli uccelli e poi deposti sugli alberi insieme agli escrementi. Entità protetta a livello regionale (TAA).
Baciarsi sotto un vischio, come vuole la tradizione, porta buono! I rami e le foglie, verdi in pieno inverno quando la natura è tutta spenta intorno, sembrano addobbati a festa per onorare il Natale. Ma questa pianta, che per motivi stagionali e simbolici avrebbe potuto essere «cristianizzata», di fatto è rimasta rigorosamente «pagana», protagonista di culti e credenze antichissimi, che di lei ci restituiscono immagini antitetiche.
Per i Greci il vischio era la chiave usata ogni anno da Persefone per raggiungere il marito all’inferno; con un rametto di vischio in mano Enea convince Caronte a fargli attraversare lo Stige per incontrare il padre Anchise nel regno dei morti. Costituiva insomma il lasciapassare per l’aldilà, ciò che permetteva d’andarci e poi, soprattutto, di tornare indietro.
Gli antichi popoli germanici erano decisamente meno ottimisti. Stando alla leggenda di Baldo, il bellissimo figlio del dio Odino, ucciso per invidia con una freccia di legno di vischio, questo misterioso alberello rappresentava la morte.
Secondo i Celti, al contrario, il vischio era «colui che guarisce tutto», il simbolo della vita che trionfa sul torpore invernale. Nella lunga notte del solstizio d’inverno, ci racconta Plinio il Vecchio, i sacerdoti celti tagliavano con un falcetto d’oro il vischio cresciuto sulla quercia (il più raro) e raccogliendo il cespo al volo, su un lenzuolo bianco, gridavano «O Ghel an Heu», cioè «Germogli il grano». Espressione che è diventata poi «Au gui I’an neuf», cioè «Al vischio l’anno nuovo», frase augurale che è giunta nella sostanza fino a noi. La pianta così raccolta era utilizzata dai druidi per ottenere un’acqua medicamentosa, preziosa come antidoto contro ogni sorta di malefici e di sortilegi.
Sempre secondo le tradizioni dei Druidi del nord Europa, quando due nemici si incontravano sotto una pianta di vischio erano soliti abbandonare le armi e concedersi una tregua, sancendo il patto con un bacio.
Da quell’epoca si è giunti fino alla nostra e appendere il vischio alla porta della propria casa o all’interno dell’abitazione è augurio di prosperità!
Testo e foto di Roberto Olgiati.