Durante la nostra ultima escursione in alta Valle di Gressoney (AO), che dal Rifugio Gabiet (2.375 m) ci ha portati a Punta Telcio (2.833 m), nel Massiccio del Rosa, abbiamo vissuto l’emozione di avvistare da (molto!) vicino una coppia di gipeti (Gypaetus barbatus), il magnifico avvoltoio delle Alpi.
La fusione di due parole greche, gyps (avvoltoio) e aetos (aquila) è all’origine del nome del Gipeto, elegantissimo “gigante” del cielo. Il nome specifico “barbatus” ricorda la presenza di penne setolose (vibrisse) che circondano l’occhio e scendono lungo il becco a formare una specie di barba. Con un’apertura alare che sfiora i 3 metri e un peso che può arrivare a 7 kg, il gipeto è uno dei più grandi uccelli europei.
Un uccello sedentario, che si avventura in spostamenti ripetuti solo durante la giovinezza, per poi stabilirsi in una determinata area e restarvi per tutto il resto della vita.
Il gipeto è un falconiforme massiccio con un’apertura alare che può arrivare fino ai 3 metri. Nidifica su pareti rocciose a strapiombo e valloni impervi e inospitali: la maggior parte delle volte lo si può osservare mentre plana in cerca di carcasse di ungulati o volteggia con agilità e sale in quota sfruttando le termiche. I gipeti sono necrofagi e si nutrono principalmente di ossa che contengono un’alta percentuale di grassi e di proteine: lasciano cadere quelle più grandi dall’alto su lastroni di pietra, dove vanno in frantumi. Una volta ingoiate, le ossa sono letteralmente sciolte grazie ai suoi succhi gastrici molto acidi (il suo stomaco ha un pH paragonabile all’acido muriatico!). Il gipeto occupa con questa strategia una nicchia ecologica che non gli viene contesa da nessuno.
L’adulto è caratterizzato da un piumaggio contrastato, con le parti ventrali e della testa di un colore chiaro mentre il dorso e le ali sono scuri. Una caratteristica peculiare, è il colore ruggine del ventre che non è di origine biologica. Durante un rituale i gipeti si colorano in pozzanghere contenenti ossido di ferro. I giovani presentano un piumaggio molto scuro e la transizione verso il piumaggio adulto avviene gradualmente durante i primi 6-7 anni di vita, in cui viene raggiunta anche la maturità sessuale. L’iride è gialla ed è circondata da un anello perioculare membranoso di colore rosso che diventa particolarmente evidente nei momenti di eccitazione.
È un uccello molto longevo (25 anni in natura, 40 in cattività) e il suo ciclo riproduttivo è complicato e lungo. Le uova di gipeto hanno una grandezza considerevole e pesano dai 200 ai 250 g. La coppia monogama depone due uova che dopo una lunga incubazione si schiudono. Il primo pulcino nasce parecchi giorni prima del secondo, e uccide quest’ultimo nelle prime settimane di vita. Questo comportamento viene chiamato “cainismo”. La natura ha inserito con il secondo uovo una riserva nel caso qualcosa non vada bene nel primo. L’allevamento di due piccoli sovraccaricherebbe i genitori. I tempi d’incubazione sono dettati dal menu: i piccoli infatti abbandonano il guscio verso la fine dell’inverno, proprio in un periodo in cui muoiono molti animali. Nelle prime settimane si nutrono esclusivamente di muscoli freschi, e sono i genitori a procurarne loro a sufficienza. In seguito, già dopo alcune settimane, passano alla loro fonte di nutrimento per eccellenza: le ossa! Ciò che può apparire macabro in realtà svolge una funzione importante per l’habitat del gipeto: le sue abitudini alimentari contribuiscono a mantenere pulite le Montagne e a impedire il diffondersi di malattie.
Nel XIX secolo il gipeto venne sterminato a causa delle infondate credenze popolari che lo descrivevano come feroce predatore di agnelli (e addirittura di bambini!) e ne fu dichiarata l’estinzione nel 1930. Nel 1986 ebbe inizio un importante progetto di reintroduzione del Gipeto su tutto l’arco alpino sostenuto dai vari Parchi Nazionali e coordinato dalla Vulture Conservation Foundation (VCF) con sede a Zurigo. Inizialmente furono reintrodotti esemplari nati in cattività e messi in alcuni nidi artificiali monitorati; in seguito il progetto ha iniziato a dare i suoi buoni frutti e nel 1997, ben 11 anni dopo i primi rilasci, è stata portata a termine la prima covata. Oggi possiamo dire che è uno dei progetti di maggior successo a livello internazionale: il gipeto si riproduce in natura ma la specie è comunque ritenuta a rischio.
Testo: Roberto Olgiati
Foto: Maurizio Colombo e Roberto Olgiati