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Feb 14

Perché il cielo, di giorno, è azzurro?

Figura 1. Leonardo da Vinci. Autoritratto.

Beh, dopo aver parlato del perché il cielo di notte è buio, quest’altra domanda era scontata. Ed è anch’essa nient’affatto banale, visto che i fisici le hanno dato una risposta soddisfacente solo alla fine dell’800. Il primo a cercare di spiegare in modo “scientifico” il colore azzurro del cielo fu probabilmente Leonardo da Vinci (1452-1519, Fig. 1), il cui spirito di acuto osservatore e sperimentatore lo condusse a intuizioni sorprendenti che resistettero per secoli senza che nessuno sapesse sostituirle con qualcosa di più valido.

La sua fondamentale osservazione fu che l’azzurro non è una proprietà dell’aria bensì è dovuto alla capacità che hanno certe minutissime particelle (gli “atimi”) di farsi luminose per effetto dei raggi solari e risplendere contro il nero della “regione del fuoco” (oggi diremmo dello spazio esterno all’atmosfera): “Dico l’azzurro in che si mostra l’aria non esser suo proprio colore, ma è causato da umidità calda vaporata in minutissimi e insensibili atimi, la quale piglia dopo sé la percussion de’ razzi solari e fassi luminosa sotto la oscurità delle immense tenebre della regione del fuoco, che di sopra le fa coperchio” (Leonardo da Vinci, Degli Elementi, Codice Leicester). Leonardo aveva individuato un altro punto chiave del problema: la dimensione di questi “atimi” è un fattore critico e il colore azzurro si manifesta solo se sono abbastanza piccoli. Certo, non poteva immaginare fino a che punto fossero in realtà piccoli, ma la sua intuizione era giusta.

Sono stati necessari ben quattro secoli di sviluppo della fisica e della matematica per trasformare le geniali intuizioni di Leonardo in una teoria verificabile e ormai ampiamente dimostrata.

Figura 2. John William Strutt, Terzo Barone di Rayleigh.

Fu Lord Rayleigh (1842-1919, Fig. 2), fisico britannico, a introdurre il concetto della diffusione della radiazione luminosa, partendo dall’ipotesi di Maxwell che la luce fosse un’onda elettromagnetica, e a studiarne l’interazione con piccoli centri di diffusione, come dovevano essere le particelle responsabili della colorazione del cielo. Tralasciando le dimostrazioni matematiche, inopportune in questa sede, possiamo dire che ogni molecola nell’aria è un centro di diffusione: quando la luce del Sole penetra nell’atmosfera terrestre essa urta contro le molecole che formano l’atmosfera stessa; ogni urto fa sì che parte della luce incidente si sparga in tutte le direzioni. Le particelle di polvere e le goccioline d’acqua (“l’umidità calda e vaporata” di Leonardo) sono molto più grandi della lunghezza d’onda della luce visibile: in questo caso la luce viene riflessa in tutte le direzioni allo stesso modo, indipendentemente dalla propria lunghezza d’onda ed ecco perché le nuvole e la nebbia ci appaiono bianche. Le dimensioni delle molecole dell’atmosfera sono invece molto più piccole della lunghezza d’onda della luce e il fenomeno deve essere quindi interpretato secondo il modello teorico proposto da Lord Raleigh. Il risultato è che la luce che colpisce le molecole viene in parte diffusa ed in parte trasmessa, cioè prosegue lungo la stessa direzione da cui proviene. Inoltre, come sappiamo, la luce bianca solare si scompone in una serie di colori che vanno dal rosso al violetto e l’efficienza del processo di diffusione fa sì che nella luce diffusa dalle molecole dell’aria la componente blu sia circa dieci volte più intensa rispetto al rosso. Questo significa che, nell’attraversare l’atmosfera, la gran parte della radiazione di maggior lunghezza d’onda prosegue la sua traiettoria rettilinea: la luce rossa, arancione e gialla viene influenzata solo in minima parte dalla presenza dell’aria. Al contrario, la luce blu è diffusa in tutte le direzioni. Quando noi osserviamo il cielo in direzione lontana dal Sole è proprio questa luce diffusa che giunge ai nostri occhi e quindi il cielo ci appare blu (Fig.3).

Figura 3. Diffusione della luce solare in atmosfera

Figura 4. Il Sole, parzialmente in eclisse, all’alba del 31 maggio 2003. Foto F. Rama – Antares Legnano

Lo stesso meccanismo ci spiega anche perché il Sole all’alba o al tramonto ci appare arrossato anche se il cielo è perfettamente limpido (Fig.4).

Figura 5. Eclisse totale di Luna del 3 marzo 2007. Foto A. Besani – Antares Legnano

O perché la Luna, durante le eclissi totali (Fig. 5), ci appare di colore rosso mattone. In questi casi, infatti, ciò che giunge ai nostri occhi è la parte di luce non diffusa dalle molecole e che ha dovuto attraversare un notevole spessore di aria. Questa luce trasmessa è stata quindi fortemente impoverita delle componenti di lunghezza d’onda minore, più intensamente diffuse dagli “insensibili atimi” dell’aria, così che in essa risultano dominanti i gialli e i rossi che ci offrono gli affascinanti spettacoli di luce che tutti ammiriamo.