«

»

Feb 05

Le corniole, preziose come pietre dure

Le corniole, preziose come pietre dure

«Se vuoi riportare la vita in un corpo gravemente ferito non indugiare: massaggia mani e piedi del morente con succo di corniola e il prodigio si compirà».

Dal Codice cinese Pen Ts’ao

Il Cornus mas L. (deriva dal latino: Cornus, corno, per il legno lucido come il corno dei buoi e mas, maschio, per la durezza del legno) ha meritato la massima attenzione sin dall’antichità, dai tempi di Romolo e Remo. Si dice, infatti, che il fondatore di Roma, per segnare il confine della futura città, abbia usato un giavellotto di legno di corniolo lanciato verso il cielo. A quei tempi, fusto e rami di questa pianta erano impiegati per realizzare gli attrezzi agricoli che richiedevano lunga durata e notevole robustezza: ruote, aratri, erpici, doghe di botte; anche oggi artigiani e scultori ricercano il legno dei Cornus per piccole sculture, bastoni d’ombrello o da passeggio, oggetti decorativi, scatole intarsiate. Non sono unicamente resistenza e durata le qualità che fanno apprezzare il corniolo, ma anche la straordinaria lucentezza del legno lavorato, che diventa liscio e setoso, arricchito da sfumature e screziature ad anello o a nodo, che lo rendono simile a una preziosa pietra dura o al corno levigato di un animale esotico.

Il nostro particolare interesse per il Cornus mas non si rivolge alle qualità del suo legno, ma piuttosto ai fiori e ai frutti. I fiori, di dimensione molto piccola (diametro di circa 4 mm), sono ermafroditi e riuniti in corimbi posti alle ascelle dei rami; la corolla possiede 4 petali acuti di colore giallo. Queste infiorescenze del diametro di 2-3 cm emanano un delicato profumo di miele e, insieme alle infiorescenze di salice, sono molto ricercate dalle api, essendo tra le prime piante a fiorire, già a febbraio, prima di emettere le foglie. Le corniole sono commestibili, ma soltanto quando, a fine estate, molto mature e rosso-scure, scuotendo i rami cadono dall’albero: infatti soltanto in questo momento si mitiga il loro sapore lappante. Non sono facili da trovare nel folto dei boschi (purtroppo ben pochi ne fanno oggetto di ornamento per il giardino) ma se si ha la fortuna di imbattersi in un corniolo e di gustarne le drupe, si può essere certi di ritrovare un sapore ben noto nell’antichità quando si attribuivano a questi frutti notevoli proprietà curative. A parte il Pen Ts’ao, celebre codice cinese di farmacologia, parlano delle corniole Plinio il Vecchio e Omero, seppure con poco entusiasmo, mentre Dioscoride e Galeno, due grandi medici, ne vantavano le proprietà toniche e astringenti per regolare le funzioni intestinali, mentre il succo o il decotto di frutti e corteccia venivano indicati come sicuro rimedio per cicatrizzare ferite e piaghe. Con il passare dei secoli, a mano a mano che l’arte medica usciva dall’assoluto empirismo e si imponevano le prime intuizioni scientifiche, si finì per dimenticare il valore terapeutico delle corniole e si cominciò ad apprezzarne il gradevole sapore. Eravamo nel Medioevo e sulle tavole più raffinate compariva il vino di corniola, ma poco più tardi, quando in Europa giunse lo zucchero, divenne di gran moda offrire corniole candite o ridotte in marmellata o in gelatina. I francesi ne parlavano come di conserve di cornouillere, gli inglesi di salsa di cornelian cherry e per i tedeschi si trattava di Kornelkirsche. L’utilizzazione di queste bacche si basa su ricette di tipo tradizionale, affidate a consuetudini locali; in Gran Bretagna e in Russia, ad esempio, è quasi d’obbligo offrire selvaggina e arrosto di maiale con gelatina di corniole o di ribes, del resto molto simili nel colore e nel sapore. Tradizione a parte, è curioso ricordare che una delle più antiche ricette a base di corniole si riferisce a una salsa celebrata da Platina, letterato e storiografo cremonese, specializzatosi nella vita dei papi, ma che non disdegnò di occuparsi di erbe medicinali e di buona cucina, esempio di un’attività divulgativa a tutto campo, abbastanza insolita per quei tempi. Virgilio afferma che “…il mirto e il corniolo, con i robusti rami, servono alla guerra…” (se ne ricavavano, infatti, giavellotti e frecce), ma per noi quest’albero rappresenta un’immagine di bellezza, da cui pendono frutti simili a ciliegie dalla strana forma.

Roberto Olgiati e Chiara Macchi