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Feb 06

Perché il cielo, di notte, è buio?

Il Cielo Notturno sulla Valle della Morte (California). Cortesia: Dan Duriscoe, U.S. National Park Service

Già, perché? Sembra una domanda innocua e semplice, di quelle che un bambino può chiedere ai propri genitori, tuttavia numerosi cosmologi hanno speso anni di ricerche per darle una risposta.

A prima vista sembrerebbe ovvio perché la notte sia buia: il Sole è tramontato. Ma innumerevoli altri Soli stanno brillando altrove in quel momento, e se l’Universo è infinito, e contiene infinite stelle, allora la notte dovrebbe brillare di luce. Questa contraddizione tra la teoria e l’osservazione è nota con il nome di “Paradosso di Olbers”, lo studioso scopritore di comete ed asteroidi che nel XIX secolo cercò di dare una risposta plausibile al quesito, pur non essendo certo il primo a porselo.

Figura 1. Heinrich Wilhelm Olbers (1758-1840). Fonte: Wikipedia

In un saggio da lui scritto nel 1823, Olbers (Fig. 1) diceva: immaginate che le stelle siano distribuite uniformemente nello spazio; le stelle più vicine alla Terra sembrano le più grandi, ma quelle più lontane sono molto più numerose poiché ogni angolo visivo comprende volumi di spazio sempre più grandi (e quindi contenenti sempre più stelle) man mano che aumenta la distanza dall’osservatore (Fig. 2).

Figura 2. Maggiore è l’angolo visivo e maggiore è il numero di stelle visibili. Fonte: WikiMedia Commons

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una prima soluzione fu avanzata dall’inglese Thomas Digges nel 1576, il quale propose che la notte fosse buia in quanto le stelle lontane erano troppo deboli per essere visibili. Per quanto questa spiegazione sembri ragionevole, purtroppo è errata: la luce combinata di stelle invisibili è di fatto visibile, così come questa pagina è visibile anche se non possiamo vedere i singoli atomi che la costituiscono.

Oltre un secolo più tardi, anche Edmond Halley considerò il problema e offrì due possibili interpretazioni: nella prima, basata però su un errore di calcolo, affermava che la somma della luce proveniente da molte stelle lontane non uguagliava quella proveniente da poche stelle vicine; nella seconda ripeteva la conclusione errata di Digges, secondo cui le stelle invisibili non davano contributo alla luminosità della notte: “..i loro raggi…non sono sufficienti a stimolare i nostri sensi”, scriveva Halley. Qualche anno dopo, nel 1744, l’astronomo svizzero Jean-Philippe Loys de Chéseaux fece un passo in avanti: egli riconobbe che le stelle troppo lontane per essere visibili di fatto contribuivano alla luminosità della notte. La notte è buia, secondo Chéseaux, perché lo spazio non è trasparente, bensì contiene del materiale che assorbe abbastanza luce da scurire la notte. Anche Olbers sostenne questa ipotesi, ma entrambi si sbagliavano: la luce assorbita da questo materiale, lo avrebbe riscaldato a tal punto da renderlo a sua volta luminoso, come gli astronomi scoprirono in seguito. Soprendentemente, la prima soluzione corretta al Paradosso di Olbers non venne da un sofisticato osservatorio astronomico Europeo, bensì da un poeta e scrittore Americano. Durante la sua breve vita, Edgar Allan Poe raggiunse la notorietà per i suoi poemi e le sue storie impregnate di macabro e sovrannaturale: l’oscurità ed il buio permeavano la sua vita e le sue opere. La sua spiegazione è riportata in Eureka, pubblicato nel 1848, solo un anno prima della sua morte. Così scriveva: “Se la successione delle stelle fosse infinita, allora lo sfondo del cielo ci presenterebbe una luminosità uniforme, come quella mostrata dalla Galassia – poiché non ci sarebbe assolutamente alcun punto, in tale sfondo, in cui non ci sia una stella. Quindi l’unico modo in cui, date le circostanze, noi possiamo spiegare i vuoti che i nostri telescopi trovano in tutte le direzioni, sarebbe supponendo che la distanza dello sfondo invisibile sia così immensa che nessun raggio da esso proveniente ci abbia ancora raggiunti”. In pratica, Poe propose che la luce proveniente da stelle lontane non riesca ad illuminare la notte perché non ha ancora avuto il tempo di arrivare ai nostri occhi; cioè, non possiamo vedere più lontano di quanto sia vecchio l’universo (Fig. 3).

Figura 3. Solo le stelle e le galassie la cui luce ci ha raggiunti sono visibili. Tratto da: Astronomy: A Beginner’s Guide to the Universe, E. Chaisson, S. McMillan – Prentice Hall, 2006

In termini attuali: se l’universo ha 15 miliardi di anni, allora gli astronomi non possono guardare più in là di 15 miliardi di anni-luce. Il cielo buio notturno, quindi, testimonia della nascita dell’universo. Nel suo saggio Eureka, Poe cita spesso l’astronomo tedesco Johann Mädler che mappò la superficie lunare e scrisse un noto libro di astronomia, Populäre Astronomie, che ebbe sei edizioni: nelle prime Mädler spiegava il buio notturno con le argomentazioni di Olbers, ma in un secondo libro pubblicato 10 anni dopo Eureka e ancora più vigorosamente nell’edizione di Populäre Astronomie del 1861, offrì una spiegazione molto simile a quella di Poe: “La velocità della luce è finita; una quantità di tempo finita è trascorsa dall’inizio della Creazione ai giorni nostri e noi, perciò, possiamo percepire i corpi celesti solo fino a una distanza pari a quella che la luce ha percorso durante questa quantità finita di tempo. Poiché lo sfondo scuro dei cieli è sufficientemente spiegato in questo modo, la costrizione di accettare l’assorbimento della luce [da parte del materiale interstellare] è eliminata. Invece di dire che la luce proveniente da quelle distanze non ci raggiunge, si deve dire: non ci ha ancora raggiunti”.

Nel 1901 Lord Kelvin calcolò che per avere una notte luminosa come il giorno sarebbe stato necessario poter vedere fino ad una distanza di centinaia di migliaia di miliardi di anni luce; poiché l’universo è sensibilmente più giovane di mille miliardi di anni, la notte è buia. Una forte obiezione a questa soluzione viene dalla teoria dello Stato Stazionario, secondo la quale l’Universo esiste da sempre e sempre esisterà: se l’Universo è infinitamente vecchio, allora gli astronomi dovrebbero poter guardare infinitamente lontano e la soluzione di Poe e Mädler non è più applicabile. Per lo Stato Stazionario la notte è buia perchè l’Universo è in espansione: infatti l’espansione dello spazio “stira” le onde luminose verso lunghezze d’onda più lunghe, verso il rosso (fenomeno del redshift). Poiché i fotoni di luce rossa trasportano meno energia dei corrispondenti fotoni di luce blu, il redshift indebolisce la luce proveniente da galassie lontane e perciò la notte risulta più scura. Ma anche se questa soluzione sembra elegante, essa è applicabile solo in uno Stato Stazionario, teoria che ormai la maggior parte degli astrofisici ha abbandonato, preferendo la teoria del Big Bang che situa l’origine dell’Universo qualcosa come 15 miliardi di anni fa.

Quindi la risposta corretta rimane: la notte è buia perché l’Universo è troppo giovane.

Franco Rama